Dall’invenzione della scrittura e, soprattutto, dall’introduzione dei caratteri mobili nella stampa, codici e volumi hanno rappresentato lo strumento principe dell’uomo colto. Dal Rinascimento poi, possedere libri ed uno studiolo nella propria dimora era quasi obbligatorio, se s’intendeva mantenere prestigio e tono sociali.
E’ alla fine del ‘500 che, per la prima volta, si ha notizia di una raccolta libraria anche in casa della famiglia Fabroni.
Nel Libro di ricordi dal 1556 al 1583 di Niccolò di Cosimo, bisnonno del nostro Carlo Agostino, dopo un inventario di “tutti gli arnesi di casa”, dalle lenzuola ai letti e ai cassoni, dai “ferri” alle botti e i coppi da olio, vi è un elenco di libri.
Niccolò, eletto gonfaloniere nel 1575, vive nel periodo nel quale la famiglia, accresciuto il potere economico e politico in città, spinta dalla necessità di trovare una residenza più grande e forse anche dal desiderio di essere più vicina al centro rappresentativo della città, si trasferisce entro la prima cerchia di mura, nella cappella di S. Andrea.
Non è possibile stabilire con sicurezza quando i Fabroni fossero venuti in possesso della casa in S. Andrea, tuttavia sappiamo che il nostro Niccolò via abitava già nel 1556 e che l’inventario di libri sopra citato fu redatto in quella residenza.
Al momento dell’acquisto di questa proprietà i Fabroni, erano ormai personaggi di spicco nell’ambito cittadino, la casata accresceva in quegli anni la sua potenza politica ed economica, i suoi membri erano eletti uno dopo l’altro alle maggiori cariche cittadine e le proprietà si moltiplicavano con ingenti investimenti immobiliari e terrieri.
E’ in quegli anni che il desiderio di accrescere anche il prestigio della famiglia aveva spinto il nostro Niccolò a cercare “contratti e scritture” per ricostruire notizie sulla propria casata e forse anche ad elevare il proprio tono sociale e culturale con la creazione di una libreria di casa.
L’inventario di libri riportato nel Libro di Ricordi di Niccolò, non permette di ammettere, con assoluta certezza, che i settantotto volumi elencati siano stati messi insieme da lui. Sicuramente visto che si tratta di una raccolta non storica, formata da tutte edizioni del cinquecento, al massimo, essi avrebbero potuto costituire, anche in parte, un fondo ereditato dal padre o comunque dal patrimonio familiare recente.
Di fatto ci troviamo di fronte ad una raccolta di testi a stampa, divisi tra “libri vulgari” in numero di sessantanove e” libri latini” in numero di nove.
Per tentare una presentazione panoramica della consistenza libraria formiamo qualche dato seguendo le categorie disciplinari allora consuete e di ascendenza umanistica.
La Sacra Scrittura, anzi tutto, è rappresentata con un solo testo in volgare, per i Padri della Chiesa è presente l’opera di Sant’ Agostino, mentre tra gli scritti ecclesiastici si trovano opere di S. Girolamo, di Antonino santo, la Summa evangelica di Angelo de Clavasio e le prediche di Cornelio Musso. Sono assenti veri e propri trattati di teologia se si fa eccezione per un’opera sulla predestinazione del pistoiese Cosimo Filiarchi .
Un “breviario nuovo” testimonia il desiderio di seguire con cognizione di causa la preghiera pubblica della Chiesa.
La filosofia, pur non rientrando fra le opere predilette dei Fabroni, è tuttavia presente con l’Etica di Aristotele, l’opera di Boezio tradotta dal Varchi e con un’opera di Piccolomini.
Il settore più esteso nella raccolta è senza alcun dubbio quello storico. La storia antica è presente con Appiano Alessandrino, Tucidite, Sallustio, Dione Cassio, Diodoro Siculo e Cesare, seguiti dalle più recenti opere di Matteo Villani, del Giovio e del Guicciardini.
Proporzionato al settore storico è quello letterario. Gli scrittori latini presenti sono: Cicerone, Orazio, Ovidio e Valerio Massimo, mentre tra gli autori italiani si notano l’Alighieri, Petrarca, Sabba Castiglione, il Bembo, il Boiardo, l’Ariosto e l’Alamanni.
L’esame dell’inventario rivela che anche a livello di piccole città come Pistoia, già alla fine del XVI secolo, vi era una sorprendente ampiezza di interessi culturali: dalla letteratura classica, alle opere storiche antiche, medievali e rinascimentali, dalla poesia trecentesca alle ‘moderne’ opere dell’Ariosto e del Bembo.
La presenza di testi quali l’Italia dell’Alberti e la commedia Flora dell’Alamanni pressoché contemporanee alla redazione dell’inventario, testimoniano anche una curiosità e una attenzione alle novità tipografiche abbastanza insolita per città di provincia come la nostra.
Quella di Niccolò può considerarsi nel suo piccolo, una vera e propria raccolta enciclopedica, dove non manca nemmeno un trattato medico e opere specifiche sulla storia e sulla strategia militare.
Molti volumi, si capisce, non abbisognano di chiose, su altri avremmo desiderato fare qualche considerazione o perché palesano una precisa scelta culturale del formatore della raccolta, ovvero per intrinseca curiosità; vi abbiamo tuttavia rinunciato giacché “si sarebbero prodotte, inevitabilmente, distorsioni della realtà dovute a valutazioni personali. La lettura delle lunghe liste librarie è soggetta forzatamente al filtro degli interessi o delle cognizioni del lettore: ciascuno vi cerca o vi nota quello che più lo interessa o lo colpisce. Gli inventari di biblioteca però offrono sempre di più e si prestano a multiformi valutazioni, che di volta in volta interessano il bibliofilo, il teologo, lo storico della spiritualità, lo storico […] e insomma quasi ogni studioso. Compiere cernite o fissare schemi è pericoloso, senza contare che spesso diviene arbitrario”.
Un discorso a parte merita, però, il ruolo occupato nella raccolta da opere sulla storia e costumi dei Turchi,divenuti, dopo l’ importantissima battaglia di Lepanto, oggetto di interesse abbastanza diffuso. E’ da sottolineare, anche, che proprio in quegli anni Cosimo I aveva istituito un ordine militare, quello intitolato a S. Stefano nato con fini specificatamente militari e religiosi quali la difesa del mare Mediterraneo e della cristianità dagli infedeli. L’ordine di S. Stefano, come la maggior parte degli altri ordini cavallereschi, ammetteva nelle proprie file chi era in grado di provare la nobiltà della sua casata, così nella nuova realtà Toscana l’ingresso in esso divenne al tempo stesso, una tappa essenziale per le famiglie per ottenere un ruolo di prestigio nella società e un momento di aggregazione della nobiltà locale al potere centrale. Anche i Fabroni, che abbiamo visto occupare un ruolo di rilievo nell’amministrazione del governo cittadino, furono attratti dalle imprese dei cavalieri stefaniani contro i Turchi e molti dei loro membri entrarono nell’ordine.
L’inventario dei libri di casa Fabroni è vergato in maniera sciatta ed affrettata e talvolta con una grafia incomprensibile, non riporta le notizie bibliografiche complete, ma solo o l’autore o titolo dell’opera, mentre riporta quasi sempre il formato del volume (folio, quarto, ottavo e sedicesimo).
E’ chiaro che si tratta di un inventario redatto non da un bibliofilo, ed è possibile che i volumi siano elencati seguendo la loro locazione nella scaffalatura, vista la puntuale attenzione rivolta alla grandezza dei volumi, più che ai loro autori o titoli.
I testi sono elencati in colonna, senza una numerazione progressiva e sono distinti solo dalla intestazione “Libri Vulgari” e “Libri latini”.
Dopo questo primo nucleo di biblioteca messa su da Niccolò, la raccolta libraria di casa Fabroni ebbe un notevole incremento nel secolo successivo, grazie al nipote di Niccolò, Atto,
Come abbiamo visto precedentemente Atto era fratello del padre del nostro cardinale, e viveva nel palazzo di Sant’Andrea. Era un uomo di grande cultura e un grande estimatore d’arte; mise su un’importante quadreria in casa e si dilettò egli stesso nell’arte scultorea.
Dal suo testamento apprendiamo che egli accrebbe anche il patrimonio librario di casa, gia ricco di “libbri antichi e moderni Manoscritti”, quelli del nonno Niccolò di cui abbiamo parlato sopra , con “una quantità di libbri stampati di più sorte, che al momento della sua morte avevano un valore stimato di “scudi settanta.”
Fra le svariate occupazioni Atto, che dopo la morte della moglie trovò conforto nella fede e si fece sacerdote, , ebbe il tempo di dedicarsi egli stesso alla pubblicazione di un’opera Il Ristretto della vita di Monsignor Giovanni Visconti Pistorese prelato de’ Cavalieri di S. Stefano, scritta dal fratello Benedetto, amico intimo di queste illustre personaggio del quale Atto era stato in gioventù “Scolaro”.
Anche Benedetto, era un uomo assai dotto, prima di divenire insigne canonico della Cattedrale di Pistoia aveva conseguito a Pisa la laurea in giurisprudenza e molto probabilmente egli stesso arricchì la biblioteca di casa con libri che attenevano alla sua formazione.
Come abbiamo detto in precedenza questo era il terreno familiare sul quale Carlo Agostino poté costruire la sua prima educazione e questi erano i libri su cui molto probabilmente studiò prima di lasciare ala sua città natale per Roma.
La biblioteca di casa Fabroni si arricchì di nuovi testi grazie all’apporto di molti dei suoi membri e forse anche a quello dello stesso cardinale che trovandosi a Roma, certamente si trovò nella condizione di inviare ai fratelli e ai cugini pistoiesi le ‘novità’ librarie della capitale.
E’ probabile anche che alcuni dei testi della biblioteca di casa Fabroni fossero portati a Roma dal Cardinale e che poi ritornassero alla città natale per effetto della donazione della Fabroniana.
Molti dei libri dell’antica libreria di Niccolò e di quella messa su da Atto confluirono nel patrimonio della biblioteca donata dal cardinale, assieme ad alcuni manoscritti nel 1869.
Risale a questo anno infatti il deposito presso la Fabroniana, della contessa Eugenia Fabroni- Caselli.
Eugenia fu l’ultima erede della celebre famiglia pistoiese. Suo padre omonimo del cardinale, letterato di fama e rinomato grecista, non aveva avuto dalla moglie Elena Fioravanti, nessun erede maschio, ma solo quattro figlie femmine. Fra queste ultime Eugenia si sposò con il conte piemontese Damiano Caselli. Eugenia come ultima rappresentante dell’illustre famiglia pistoiese che aveva dato i natali anche ad un benemerito cardinale ritenne giusto lasciare alla Biblioteca del suo illustre antenato gli antichi libri di casa e i manoscritti “già appartenuti all’Eminenza sua” affinchè entrassero a far parte di un patrimonio ad”uso pubblico”.
La parte più importante di questa donazione è costituita da un gruppo di sessantanove manoscritti che si andarono ad aggiungere agli altri già presenti in Fabroniana . In questo nucleo vi sono codici originali del cardinale, mentre gli altri facevano invece parte della collezione pistoiese della famiglia.